E’ importante dove si sceglie di mettere l’accento…
I “Legàmi” sono relazioni affettive (romantiche ma anche amicali) in cui ciascuno dei due partner dovrebbe sentirsi libero di scegliere ed essere scelto, giorno per giorno: un desiderio condiviso e comune, per poi ritrovare ciascuno la propria strada quando il desiderio non appartiene più a entrambi.
“Lègami!” è invece il grido del dipendente affettivo, di chi desidera che il legame d’amore divenga un legame inscindibile, esclusivo e totalizzante. Un legame paralizzante che invischia entrambi i partner in un rapporto malato, pericoloso.
E allora “legàmi” o “légami!”? Dove va, secondo voi l’accento, nella vostra relazione? Read more
In questo periodo di isolamento forzato, mi è tornata in mente questa domanda che ci poneva spesso un caro docente di psicoterapia.
Chissà quante persone, costrette a stare da sole loro malgrado, in questo momento stanno soffrendo per l’impossibilità di non avere uno stretto contatto con gli altri, o con qualche “altro” in particolare.
Il bisogno del contatto e della vicinanza è innato e comune a tutti gli esseri umani: chi più chi meno, ma in questo momento tutti (o quasi) sentono la mancanza di qualcuno, lo vorrebbero vicino, e nell’impossibilità di realizzare questo desiderio soffrono.
Ma per alcuni sopportare la solitudine, anche se per un periodo di tempo limitato, comporta una grande sofferenza dell’anima, che va oltre il comune sentire: un senso di mancanza incolmabile, che causa un horror vacui senza nome, che può essere molto simile all’angoscia di morte… anzi, alla paura di non essere senza l’altro.
In questo senso, l’altro è una scusa: cos’è che spaventa così tanto nello stare soli con se stessi? Quali fantasmi abitano la fantasia della solitudine? Quali vuoti si amplificano fino a divenire la persona stessa, fino a inghiottirla, se non c’è qualcuno accanto che li confina, che li contiene?
Ecco, credo che questo momento offra l’opportunità per riflettere a fondo su questa tematica, soprattutto per chi si lega continuamente a qualcun altro, anche quando non c’è un reale desiderio o sentimento, senza riuscire a stare mai da solo/a.
ANGOSCIA E MANCANZA DI EMPATIA: LA NECESSITA’ DI DETERMINARE L’OGGETTO. Spunti di riflessione.
Premessa
Da una rapida ricognizione sui social è evidente come le vittime del coronavirus non ricevano quell’attenzione e quella compassione che, comprensibilmente, viene rivolta di solito ai defunti (o agli ammalati). Basti pensare ai recenti e dolorosi episodi legati al terrorismo e ai quali seguiva una reazione tale da far sfociare l’empatia addirittura nell’identificazione con la vittima, “je suis…”, per intuirne l’enorme differenza. Cerchiamo di riflettere insieme su questa peculiarità.
L’angoscia e la mancanza dell’oggetto
Il contagio da coronavirus costituisce una minaccia molto difficile da fronteggiare per la comunità civile e scientifica ma anche, anzi, in particolare, per l’individuo, per le tante persone che si trovano in isolamento, talvolta da sole. Tale minaccia, infatti, non costituisce un “oggetto” ben definibile. E’ invisibile, non si sa chi può averlo, chiunque può contaminarci. Si tratta di un rischio reale ma senza una rappresentazione oggettuale che ci consenta di reagire e di difenderci in modo efficace o, almeno, di provare a farlo.
Se la minaccia è costituita da un “oggetto” ben identificabile proviamo paura, è vero, ma la paura è un’emozione fondamentale per la sopravvivenza che ci permette di fuggire – davanti al leone – di attaccare – spengere il fuoco di un incendio – o di congelarci e immobilizzarci – nascosti agli occhi del predatore. Read more