Annalisa Ilari Psicologa

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Burnout Syndrome: una definizione

annalis@ Stress, Ansia e Depressione 29 Maggio 201929 Maggio 2019aids, ansia, burn-out, burnout, depressione, disturbi gastro intestinali, dolori muscolo-scheletrici, Firenze, hiv, infermiere, infermieri, insegnanti, oncologia, ospedale, poliziotti, pompieri, professioni socio-sanitarie, psicologa, psicologo, psicoterapeuta, scandicci, sindrome da burnout, stress lavoro

La “Burnout Syndrome” o “Sindrome da Burnout” è un fenomeno complesso e decisamente in aumento correlato ad un ambiente di lavoro stressante. In particolare riguarda gli operatori che lavorano nell’ambito socio-sanitario, ma non solo: riguarda  infatti tutte quelle professioni che a vario titolo sono incentrate sull’aiuto o sul servizio all’altro.

La sindrome da burnout fu descritta per la prima volta da Freudenberger (1974) e da allora è stata l’oggetto di svariati studi e ricerche.
Da poco, è stata inserita tra i disturbi riconosciuti ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS).

sindrome da burnoutNel tempo sono stati suggeriti diversi termini e definizioni per spiegare la sindrome da burnout.

Maslach e colleghi (2001) suggeriscono che non si può dare una definizione univoca a questo fenomeno che è caratterizzato da almeno da tre dimensioni:
1) Esaurimento emotivo (in particolare, esaurimento delle risorse emotive più coinvolte nella relazione con l’altro);
2) Depersonalizzazione (sentimenti negativi e atteggiamenti cinici verso il destinatario dei propri servizi o cure, necessità di mettere una distanza);
3) Realizzazione personale ridotta (una tendenza a valutare se stessi negativamente, in particolare per quanto riguarda il lavoro).

L’impatto più evidente del burnout è la diminuzione delle prestazioni lavorative dei dipendenti e della qualità della fornitura del servizio. Le persone colpite da questa sindrome divengono più vulnerabili rispetto allo stress fisico, emotivo e mentale richiesto dalla loro professione e, giorno dopo giorno, questo appare sempre più evidente. Non solo non sono più in grado di soddisfare le richieste di lavoro, ma usano un atteggiamento freddo e distaccato verso le persone cui sono rivolte le loro cure, che equivale ad un senso di dissociazione interiore e ad un tentativo, difensivo, di non farsi invadere dalle emozioni dell’altro.
Sul piano della prestazione lavorativa, inoltre, la sindrome da burnout è fortemente associata ad un eccessivo assenteismo, all’uso consistente di congedi per malattia, al desiderio, sempre più manifesto, di lasciare il lavoro e ad una conseguente diminuzione del benessere generale.
Alcuni studi (tra gli altri, per esempio: Magnavita, 2009 e Converso et al., 2015) mostrano come anche ansia e depressione, oltre a disturbi di carattere fisico come dolori muscolo scheletrici e problemi gastro-intestinali in primis, si associno di frequente alla sindrome da burnout, soprattutto al crescere dell’età e/o degli anni di servizio.

Le categorie più colpite dalla sindrome da burnout

Come sopra accennato, la sindrome da burnout è più frequente tra gli operatori di alcune specifiche categorie professionali caratterizzate da un’intensa interazione con le persone: non solo personale socio-sanitario, ma anche lavoratori che forniscono servizi destinati alle persone come, ad esempio, insegnanti, poliziotti e giudici. Oltre al lavoro con il pubblico, le persone che lavorano in qualsiasi altro settore che comporta responsabilità estreme o pericolose, precisione nell’esecuzione dei compiti, gravi conseguenze, lavoro a turni, o compiti e responsabilità non gradite, sono da ritenersi a rischio per lo sviluppo di disturbi correlati al burnout.

Dalla letteratura scientifica reperibile su questo tema, emerge con chiarezza che la categoria a più alto rischio di burnout è rappresentata dagli infermieri che lavorano negli ospedali.
burnout infermieriLe cause sono molteplici e non sono soltanto quelle più strettamente legate alla natura del loro lavoro ma sono riferibili anche a sfere apparentemente più lontane, come le scelte socio-economiche di un governo e, più in particolare, quelle relative alla gestione del sistema di sanità, in particolare quella pubblica. Tali scelte possono riflettersi sul lavoro degli infermieri sotto forma di carichi eccessivi per singolo operatore, stipendi inadeguati, turni massacranti e scarso riconoscimento sociale del fondamentale ruolo svolto dagli infermieri (spesso subordinato al “successo” dei medici e considerato inferiore).
Per quanto riguarda le variabili che possono influire sull’insorgenza della sindrome da burnout, strettamente legate alle attività svolte dagli infermieri, vanno annoverate: le richieste dei pazienti, che possono diventare eccessive e ingiustificate; i possibili rischi – anche per la salute – nell’assistenza infermieristica; la costante paura dell’errore nella somministrazione dei farmaci, viste le conseguenze cui può portare; il pesante carico di lavoro o la pressione del tempo nel cercare di fornire assistenza a molti pazienti durante un turno di lavoro; la mancanza di rispetto da parte del pubblico, che tende a scaricare sul singolo operatore impegnato nella sua attività, l’acredine e l’insoddisfazione legate alla cosiddetta “mala sanità” e/o alla cattiva gestione dei servizi pubblici; il confronto continuo con la classe medica cui l’infermiere viene spesso subordinato, anche quando esperto; i comportamenti aggressivi, frequenti o imprevedibili, o addirittura le violenze da parte dei pazienti durante il servizio – le cronache ci parlano di episodi anche molto gravi, soprattutto nel contesto del Pronto Soccorso; sovente, anche aspetti legati all’organizzazione del personale, come un’eventuale  mancanza di chiarezza del ruolo, una cronica carenza di personale e la  mancanza di un supporto continuo e attento nell’ambiente di lavoro stesso. A tutti questi aspetti va certamente aggiunto un fattore importante, correlato ad un maggior rischio di sviluppare una sindrome da burnout, che è quello del tipo di personalità della persona interessata e soprattutto il grado di resilienza.

Anche se vi sono ampie variazioni nella prevalenza della sindrome da burnout in operatori sanitari, è più probabile che questa colpisca quegli infermieri che lavorano con pazienti affetti da cancro, soprattutto se in reparti di pediatria, o con pazienti con HIV, così come coloro che lavorano in reparti di emergenza o nelle unità di terapia intensiva. Nel contesto oncologico uno dei fattori di stress è legato all’alta mortalità dei pazienti e, quindi, al tema della morte di per sé e al tema dell’impotenza. Riguardo ai pazienti affetti da AIDS, a tutti i fattori sopra esposti, va aggiunta la paura del contagio. Anche nel caso dei reparti di emergenza e terapia intensiva è presente un elevato pericolo di morte dei pazienti e la necessità di operare con rapidità e precisione, spesso anche per molte ore di seguito, fanno sì che lo stress raggiunga livelli spesso insostenibili, soprattutto sul lungo termine.

Questo tipo di stressors è rilevabile anche nelle professioni di soccorso e nei medici, ma l’epidemiologia e le ricerche di settore indicano come gli infermieri siano comunque la categoria più colpita dalla sindrome da burnout.

Elementi che arginano il burnout nell’ambiente di lavoro

Abbiamo visto quali sono i maggiori fattori di rischio e gli stressors spesso correlati all’insorgenza della sindrome da burnout, vediamo adesso quali possono essere gli elementi che, se presenti nell’ambiente di lavoro, possono contribuire ad arginarla. Si tratta di fattori che interagiscono con quelli personali e con la struttura di base dei singoli soggetti.

gruppo di sostegnoIntanto, è importante che nell’ambiente di lavoro ci sia un clima di fiducia, di comunicazione e di rispetto tra le diverse figure professionali, anche su livelli gerarchici diversi. Il supporto personale e di squadra risulta essere determinante e sarebbe auspicabile la presenza costante di uno psicologo o di uno psicoterapeuta per monitorare, prevenire ed eventualmente assistere il personale a rischio burnout. Inoltre, l’inserimento di un gruppo di supporto nella pratica clinica quotidiana offrirebbe un intervento precoce nel trattamento della sindrome e l’applicazione di soluzioni e strategie di coping appropriate.
Anche la formazione e l’informazione, rivolte agli operatori stessi e ai loro supervisori, rappresentano strumenti preziosi per aumentare la conoscenza di questa sindrome e la consapevolezza dei segni e dei sintomi utili per identificare gli individui a rischio.
Ultimo, ma non per importanza, politiche economico-sociali atte a migliorare le condizioni lavorative del personale a rischio e l’ambiente di lavoro stesso.

 

 

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